C’è uno studioso che si chiama Pietro de’Crescenzi, noto anche come Piero Crescenzio, che è considerato il maggior agronomo del medioevo occidentale: infatti nel 1300 ha scritto in lingua latina il Ruralium Commodorum libri XII, colmando così un vuoto culturale durato mille anni. Fino all’opera del Crescenzi, in Occidente, durante il Medioevo, le tecniche agronomiche e gli aspetti fondamentali della coltivazione delle terre non furono mai formalizzate in un testo di riferimento.
Forse per la sua provenienza dall’area di Bologna, dove il melone ha un’antica storia di coltivazione (come a San Matteo della Decima, oggi nel comprensorio del Melone Mantovano I.G.P.), il Crescenzi conosceva bene questo frutto, tanto da dedicargli alcuni passaggi del suo trattato.
Su Google Books è reperibile il testo originale nella versione in “fiorentino” del 1805 ad opera dell’Accademia della Crusca.
All’interno del testo, si rintraccia uno stralcio molto interessante a proposito dell’etimologia del termine “melone”.
Il Crescenzio in latino usò il termine “MELONES”, ripreso poi anche da Linneo nella sua classificazione delle piante “CUCUMIS MELO”, mentre nella traduzione più tardiva in fiorentino del 1805, l’Accademia della Crusca usò il termine “POPONE” (v. Lib VI Cap LXXI VoIL p 246).
Similmente il Crescenzio adattandosi al patrio linguaggio chiamò in latino i frutti di essa Melones anzi che Pepones o Melopepones come vorrebbono alcuni.
Il Crescenzio inquadra anche il melone in relazione ad altre colture, dando indicazioni sui cicli colturali e sulle possibili coltivazioni all’interno di uno stesso campo, come ad esempio a pagina 165 sostiene che
“laddove si andranno a piantare porri, cipolle e cavoli, fagiuoli, miglio, zucche, melloni, cocomeri, cedriuoli e poponi, si possono del mese di Gennuaio e Febbrajo seminare l’erbe che si consumano ovvero si innanzi alla piantagione delle cose sì come sono spinaci, atre, lattughe, cavoli, porrine, cipolline”
,
mentre a pagina 197 che le cipolle si possono piantare dove si trovano i meloni e raccoglierle quando son mature. In alternativa, si possono seminare le bietole
“in campi dove sono i poponi o cedriuoli ovvero zucche quando incominciano a stendere i rami avvegnaché vi sieno quivi cipolle o no. Quelle che rimarranno, levatine i poponi ovvero zucche ovvero i cedriuoli, vanno sarchiate spesso.”
In realtà il fatto che più colpisce leggendo oggi queste descrizioni è un’interrelazione di sistemi agronomici che a tutt’oggi vengono applicati nei nostri circondari agricoli. Nel capitolo dedicato alla Zucche, specifica metodi colturali che riconoscono importanza al letame bovino come forma di concimazione, per una maggior produzione di frutti che accomuna entrambe le colture:
“Anche s’é trovato un modo di piantar più tosto le zucche e ì melloni e averne più tosto i frutti cioé che si pone un poco di terra trita sopra la massa del letame caldo che di presente delle stalle si cava del mese di Marzo e sopra la detta terra si piantino i semi i quali tosto nasceranno per lo caldo fummo del letame.”
A pagina 318, dove si trova il calendario delle attività agronomiche di Aprile, il Crescenzio indica che è il momento di arare i campi “grassi e gli umidi i quali tengono l’acqua lungamente, e i secchi si arano la seconda volta” . Quindi si seminano “le zucche, i citriuoli, i cocomeri, i melloni” e altro che però si possono seminare anticipatamente anche nel calendario di Marzo.
E’ il capitolo LXXI interamente dedicato ai POPONI:
De Poponi – I Poponi desiderano terra e aere chonte i cedriuoli e i cocomeri, ma meno grassa e meno letaminata, acciocché più saporosi e sodi divengano, e più tosto si maturino. E si deano piantare a quel medesimo modo e tempo, e poiché sono nati non si deono adacquare. De quali alcuni son grossi e mangiansi maturi, cioé quando cominciano a diventare odoriferi e gialli: de’ quali i greceschi ch’hanno i semi molto piccoli, son migliori di tutte le generation de poponi. E altri sono che sono sottili, verdi e molto lunghi e quasi tutti torti, i quali si chiamano melangoli e questi appelliamo noi melloni i quali si mangiano acerbi, si come li cedriuoli e son d’un medesimo sapore ma sono men freddi e più digestibili, ed imperciò si dice che son migliori che i cedriuoli. I poponi son freddi e umidi nel secondo grado e que’che son dolci son temperatamente freddi. E Avicenna dice che la sua radice in quel medesimo modo é vomitiva che detto é della radice de cedriuoli e de cocomeri. Conviene adunque che quei che gli vuole usare, alcun cibo non mangi innanzi a quelli acciocché non facciano abbominazione. Ma Isac dice che, poiché saranno mangiati, si dee dimorare infìno che saranno smaltiti innanzi ch’altro cibo si prenda. Anche dice Avicenna, che ‘l popone si digestisce tardi, se non quando si mangia con quel ch’é dentro e il suo nutrimento é migliore e ‘l suo umore é più convenevole che quello de cedriuoli e de cocomeri. Ma quando il popone si corrompe nello stomaco si converte a natura venenosa. Adunque si conviene che quando grava sene cavi fuori incontanente: e di quelle cose che dopo ‘l lor mangiar danno ajutorio, sono ne’ collerici l’ossizzacchera, finocchio e la mastice. Ma i flemmatici prendono ossimele, gengiovo condito o solamente gengiovo o decimino e beono vin puro, Ma il lor seme provoca l’orina, e mondifica le reni e la vescica dalla rena e dalla pietra.
Purtroppo il Crescenzio sottolinea anche le proprietà del melone, e tra queste non vi è la proprietà afrodisiaca! Infatti:
“Ed é da sapere che certe cose sono che spengono la lussuria, spessando lo sperma, sì come il seme della lattuga, il pctorsillo, i cedriuoli, i melloni, i cocomeri, le zucche, l’aceto, le porcellane, la lattuga salvatica, il sumatico, la canfora e simigliatiti cose”
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